Disoccupazione
Un fenomeno dei nostri giorni
Le persone appartenenti ad un dato gruppo sociale che pur aspirando ad una occupazione non la trovano sono i disoccupati, cioè coloro che pur avendo la disponibilità ad iniziare una attività retribuita, non riescono a farlo. In alcune aree dell'Europa la disoccupazione colpisce i più giovani, in altre i lavoratori di lungo periodo che non riescono a tenersi aggiornati; in altre zone abbiamo una grande percentuale di disoccupati in possesso di un titolo di laurea in quanto risultano questi in soprannumero rispetto alle necessità intrinseche del mercato del lavoro.
Ma il problema, confrontandoci con il resto dell'Europa dei 25, risulta essere la disoccupazione giovanile; un quarto dei nostri disoccupati ha meno di 25 anni, peggio di noi si assesta la Grecia, la Slovacchia e la Polonia. In altri Paesi il dato è esattamente l'opposto; nel Regno Unito la disoccupazione degli 'over 40' è molto più frequente, rispetto alla media. A mio avviso la disoccupazione non è un problema che si è venuto a verificare soltanto nella nostra epoca: già l'avvento della rivoluzione industriale con le macchine a vapore di Watt e la automazione degli strumenti di lavoro portò allora disoccupazione. Sorse addirittura un movimento di rivalsa estrema chiamato luddismo e che vedeva i lavoratori licenziati attaccare e distruggere i centri di produzione che stavano licenziando operai per via dell'utilizzo di macchine che sostituivano l'uomo. Attualmente la disoccupazione non è causata dalla notevole presenza di macchine nella fase produttiva, ma piuttosto dalla scelta neoliberista di non trasformare la quantità di lavoro necessaria in occupazione stabile. Alcuni storici fanno risalire il problema dell'occupazione alle scelte politiche del periodo dell'unificazione d'Italia, avvenuta nel 1861.
Allora si sviluppò un sistema economico di tipo feudale nel Sud Italia, mentre nel Centro-Nord si sviluppò un sistema politico-istituzionale che permise un considerevole sviluppo della marineria commerciale. Con il passare delle generazioni punte statistiche della presenza di disoccupazione si ripresentano con regolarità dopo un cambiamento di paradigma produttivo. Il nostro è un Paese simbolo della disoccupazione nei Paesi cosiddetti industrializzati; è rappresentato dai lavori stagionali e dal lavoro interinale, dei contratti di collaborazione e più in generale dei contratti atipici. IL mercato del lavoro nel nostro Pese sembra indirizzato verso un modello americano riguardo al trattamento dei lavoratori da parte delle aziende: si assumono persone per un tempo determinato che può variare da una settimana fino a sei mesi. Questo non significa creare posti di lavoro ottimali, ma solo eliminare parte della disoccupazione con modalità temporanea come temporaneo è il lavoro stesso. Nei contratti di collaborazione il dipendente non ha diritto alle festività feriali, ai bonus malattia, neanche ad un giorno di riposo.
Non bisogna infatti credere che i posti di lavoro siano una quantità fissa, dipendendo questa dalla capacità della società di imporre bisogni; a soddisfare questi bisogni saranno individui in dinamica evoluzione. Importante sarà una scolarizzazione diffusa, e altrettanto importante la disponibilità individuale ad apprendere in autonomia e per tutto l'arco della vita professionale. Suggerirei a chi fa un determinato mestiere, di interessarsi per tutta la propria vita (lavorativa) agli argomenti attinenti il proprio mestiere. Per chi studia potrà essere utile imparare fuori dal contesto scolastico. Per esperienza so che i corsi di formazione non sono indispensabili: anche secondo le ricerche statistiche di un istituto indipendente che non cito, è così. Il fatto è che questi corsi, spesso con un sussidio sotto forma di rimborso spese, risultano molto attraenti per i nostri giovani connazionali inoccupati.
Diverse circostanza hanno portato a questo e anche se Enti e Regioni si definiscono soddisfatti di questi corsi sappiamo invece che il più delle volte rappresentano un contenitore per parcheggiare persone in cerca di una nuova, o di una prima occupazione; parcheggio lungo il difficile percorso tra la fine della formazione accademica e il principio della vita lavorativa. Questo periodo può anche essere molto lungo. Intere categorie di applicanti e tirocinanti, ma anche adulti, hanno fatto il percorso dei corsi di formazione. Si guadagnano alcune indispensabili decine di Euro di rimborsi, si può finalmente affermare a parenti e amici scettici che si è in un certo modo 'occupati', si può soddisfare le proprie ansie avendo qualcosa da fare quando tutti vanno al lavoro, ma il problema di fondo non viene rimosso. Spesso dopo il corso di formazione ricomincia la disoccupazione: allora? Ecco pronto un bel corso per 'inoccupati', dedicato a chi lavorava e lavorerà ancora certo, ma fa parte di quella percentuale di disoccupati, che cala certo, ma non si azzera mai. Si cerca di far fronte a questo; occorre riflettere anche sulle privatizzazioni e sul monopolio. Ci si chiede se le privatizzazione dei servizi siano giustificabili.
Se il servizio diviene più efficiente si possono in effetti creare posti di lavoro: ma se privatizzando un Ente Pubblico facciamo subentrare un privato che sia l'unico che abbia il potere di esercitare tale attività, allora semplicemente ci spostiamo da un monopolio pubblico verso un monopolio privato: occorre seguire l'esempio della privatizzazione della telefonia mobile in Italia. C'è stata in questo sviluppo della telefonia un aumento degli operatori in concorrenza: si crea una nuova dimensione di lavoratori, perché tutte le aziende coinvolte nella corsa commerciale hanno vivo interesse a concorrere per i primi posti; c'è quindi una maggiore necessità di personale e si creano posti di lavoro. In effetti, in Italia, tutti i gestori delle telefonia mobile, accanto alla Telecom Italia Mobile, hanno creato occasioni di lavoro e hanno effettivamente assunto delle persone.
In questo versante si può affermare che la domanda va verso l'offerta per equilibrare il tasso di disoccupazione; ma ci sono dei limiti anche se uno di questi costituisce una scommessa con il futuro, creata da intraprendenti datori che lavoro che vanno realmente verso l'offerta. Intendo che le aziende si trasferiscono nel Sud della penisola, laddove negli anni Cinquanta era stata forte la migrazione verso il Nord o verso l'Estero, e si era creato ancora un maggior impoverimento. Occorre creare le condizioni di sussistenza per le quali gli imprenditori del Nord decidano si investire uomini e mezzi nel Mezzogiorno. Alcune industrie italiano lo stanno già facendo. Ma occorre uno sforzo unito di tutte le potenzialità dello Stato.
Al Sud mancano le ferrovie, e i trasporti di merci lungo la penisola avvengono per il Sud su gomma, sugli inquinanti e pericolosi autotreni. Costosi e inquinanti ma necessari. Fino ad una completa rivisitazione delle infrastrutture esistenti. Come le leggi per l'imprenditorialità giovanile, valvola di sfogo che consente di disporre di contributi pubblici per fare mpresa. Le statistiche hanno disegnato una disoccupazione in calo percentuale rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso: lo rende noto l'Istat, l'istituto per la ricerca statistica, che spiega che si tratta di un sensibile rallentamento rispetto alla crescita tendenziale dell'ultimo periodo. Nel primo trimestre di quest'anno l'occupazione segnava un piccolo incremento, lo 0,4% e il numero delle persone in cerca di lavoro era in discesa.
Ma qual è il problema di fondo della nostra epoca riguardo al lavoro? Forse nella definizione attuale dello stesso: talmente flessibile e alternativa deve essere l'occupazione a detta della Confindustria, da adattarsi al lavoro atipico, ossia precario. Ci hanno spiegato che secondo la flessibilità nel lavoro occorre abbandonare l'idea di “posto fisso” e orientarsi verso un dinamico scambio dei ruoli e dei luoghi di lavoro; perché, così facendo, avremmo potuto adattarci ai cambiamenti imposti dal mercato del lavoro, diventato un mercato globale, con un nuovo paradigma socio-economico e produttivo e basato sulla mobilità e flessibilità. Molte imprese per tenere sotto un certo livello il costo del lavoro utilizzano il cosiddetto “outsourcing” cioè l'esternalizzazione di interi processi produttivi per accrescere economicamente l'azienda e migliorare i profitti. Stiamo assistendo ad un nuovo cambiamento, e cioè il superamento della legge Biagi(Dlgs n. 276/2003); questa permette contrattualità lavorativa per la quale il lavoratore si poneva a disposizione di un datore di lavoro che ne poteva utilizzare la prestazione lavorativa”. La prima misura efficace dell'attuale riforma del governo è consistita in un giro di vite contro l'abuso delle collaborazioni autonome “a progetto” nei Call Center, mediato con la circolare del ministero del Lavoro n.17/2006 che si basa su una precisa applicazione di quanto disposto in materia dalla stessa legge Biagi.
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